L’infiammazione cronica di basso grado

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Oggi si sente sempre più frequentemente parlare di Infiammazione  di Basso Grado (LGI) come una delle principali cause alla base di numerose patologie cronico-degenerative e autoimmuni.

È stato dimostrato ormai come non sia solo una questione “genetica” responsabile della maggiore diffusione ed incidenza delle malattie cronico-degenerative, ma piuttosto di una iperattivazione del sistema immunitario protratta nel tempo e in grado di autosostenersi, che può portare con il tempo cellule, tessuti e l’organismo all’esaurimento biologico e funzionale. Quando si parla di infiammazione siamo soliti considerare l’infiammazione acuta classica, caratterizzata e descritta da sempre con: “calor-rubor-dolor e functio laesa”. Fenomeni infiammatori acuti sono spesso di rapida risoluzione, tuttavia quando sono protratti nel tempo e non vengono correttamente gestiti possono dare origine a infiammazioni croniche di basso grado, molto subdole nel loro decorso clinico, poichè spesso asintomatiche e apparentemente non lesive, ma che si ripercuotono a livello sistemico con ipercortisolemia e attivazione immunitaria di tipo Th2, con conseguente maggiore probabilità di sviluppare patologie autoimmuni, cronico-degenerative, diabete di tipo 2,  osteoporosi e velocizzare il declino cognitivo, fino all’esaurimento funzionale dell’organo coinvolto. Tra i principali fattori che contribuiscono a sostenerla vengono annoverati l’ipersecrezione insulinica indotta da un’alimentazione ad elevato contenuto in zuccheri raffinati, diete iperproteiche e ricche di acidi grassi saturi, infezioni virali, esposizione a pesticidi, metalli pesanti e tossine che non vengono correttamente metabolizzate dal fegato. A livello cellulare è stato evidenziato un fattore di trascrizione denominato NF-Kβ, normalmente presente a livello citoplasmatico in forma inattiva, che quando attivato da particolari stimoli esogeni, entra nel nucleo cellulare e trascrive geni pro-infiammatori (IL-6;TNFα) responsabili di una iperattivazione immunitaria sbilanciata, con prevalenza di macrofagi proinfiammatori M1 e deplezione di M2, ad azione antinfiammatoria.  Quindi, riconoscere gli stimoli proinfiammatori alla base dell’infiammazione cronica di basso grado risulta di estrema importanza, anche in relazione alla sensibilità individuale che ognuno di noi possiede nei confronti degli stessi. La resistenza e la forza di cui disponiamo per proteggerci dagli stimoli esterni sono diverse per ciascuno di noi, e non sono rappresentate solo dalla genetica individuale, bensì dalla sua regolazione, l’epigenetica, oltre che dalla robustezza del microbiota e del microbioma intestinale, tutti fattori influenzati da stili di vita, abitudini alimentari, dall’ambiente in cui viviamo e dai nostri vissuti. Nella pratica clinica e di routine possiamo valutare lo stato infiammatorio cronico e di basso grado dopo un esame scrupoloso, che consideri come marker indicativi di base il livello di proteina C reattiva, e i valori di cortisolo misurati nell’arco temporale giornaliero 8:00--18:00, e per indagini più precise, il dosaggio con PCR ultrasensibile dei valori di interleuchine proinfiammatorie (IL-6; IL1β;IL18;TNFα), ancora non così diffusa nei laboratori di analisi di routine.

Sarà quindi fondamentale adottare stili di vita corretti, che associno una personalizzata attività fisica a corrette abitudini alimentari, all’insegna della varietà, con cibi a basso indice insulinico e che osservi stagionalità e qualità. Tra le sostanze ad azione antinfiammatoria che possiamo assumere, anche per lunghi periodi, troviamo gli omega 3, le vitamine ad azione antiossidante, ma anche polifenoli, beta-glucani e triterpeni, presenti nei funghi medicinali, con azione di potenziamento del microbiota, oltre a curcuma, boswellia e zenzero, ad elevata biodisponibilità, per la regolazione dei livelli di cortisolo e l’inibizione di NF-Kβ, ormai ampiamente d imostrata in diversi modelli cellulari.

 


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